[⇐] Solo un passo del libro sacro dell’islam lascia dei dubbi: «Astenetevi dalla contaminazione degli ‹awṯân› [orig.], astenetevi dal discorso mendace!» (XXII 30). Qui infatti non sappiamo con certezza se intendere il termine ‹awtân› come «immagini» o «idoli». In ogni caso, sarebbe inutile cercare nel Corano la interdizione delle immagini che troviamo invece nell’Antico Testamento (Deuteronomio V 8): «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai». Nel Corano, inoltre, non v’è traccia di divieti nei riguardi delle rappresentazioni profane, e infatti nell’islam primitivo abbondano oggetti e ornamentazioni figurate: la tradizione ci parla di pittori che decoravano le case di Medina — la città in cui Muhammad si era rifugiato al momento dell’ègira (622 d.C.), facendone la sua capitale — e nell’epoca del califfato omayyade (661-750 d.C.) grandi cicli pittorici ornavano le sontuose residenze dei sovrani, quei “castelli del deserto” resi celebri dalle descrizioni di Lawrence d’Arabia nei ‹Sette pilastri della saggezza›; negli stessi palazzi gli archeologi hanno anche rinvenuto delle statue, ritraenti i califfi o forse i grandi personaggi della storia islamica. Fra i musulmani era diffusa anche l’arte del ritratto: le prime monete da loro coniate — che imitano i tipi persiani e bizantini — recavano infatti la figura del sovrano armato di spada.
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K E Y W O R D S
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