Così, mentre seguiamo il racconto di come la filosofia, prima forma di sapere che pretende di essere altro dal mito, si struttura in una logica scissa dal corpo e perciò astratta, del tutto compatibile con la religione – da cui, in un drammatico falso movimento, non riuscirà mai a separarsi – emerge, come fosse un fiume carsico che si agita nel fondo, la storia triste, tragica ed eroica, di donne che sentiamo vicine, che riconosciamo amiche. Come illuminate da lampi improvvisi, compaiono sotto i nostri occhi fantasmi di figure femminili, evanescenti ed eteree, ridotte, sotto il cielo ellenico, ad essere quasi nulla, solo una “variante difettiva della specie”; fantasmi di streghe bruciate in nome della modernità nascente, di dame colte e libertine silenziosamente disprezzate nei salotti seicenteschi, di rivoluzionarie passate sotto la lama della ghigliottina nel secolo di Voltaire. L’annullamento della donna è causa e insieme conseguenza dell’impossibilità, per il pensiero razionale, di emanciparsi dalla religione, in particolare quella cristiana. Come ci ricorda Elisabetta Amalfitano «il termine stesso “femmina” deriva da ‹minus fè›, minor fede, dunque più disposta alle tentazioni. Essa infatti nasce da una costola ricurva di Adamo, ricurva verso l’interno dell’uomo, rivolta contro il suo petto, contraria all’uomo per sua natura». [⇒]
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K E Y W O R D S
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